La meditazione esistenziale non è una semplice attività da compiere, ma il perseguire uno stato dell’essere
Quando mi è stato chiesto se la meditazione potesse aiutarci a stare meglio e a migliorarci, ho risposto: “certamente, ma un patto, che tale esperienza non sia un distogliersi dalla vita, ma un modo di esservi presente con sempre maggiore consapevolezza”.
La “vera” meditazione non ha come finalità un falso e provvisorio stato di estraneazione dal “grande” tumulto della vita, ma un ritrovarsi sempre più nella verità delle cose e di se stessi, della propria interiorità, per imparare a mettere in atto conoscenze e azioni che non siano reazioni, e spezzare i nostri meccanismi “copionici” (E. Berne, 1966) che stanno alla base del nostro stato di alienazione esistenziale.
Lo scopo della meditazione esistenziale non è isolarsi dal mondo e neppure un protendersi nella vertigine di esplorarlo, ma è il progredire verso una crescente coscienza delle proprie “menzogne” o “finzioni funzionali” (Hillman, 1998), al fine di ritornare all’essenza di se stessi.
Oggi si pratica la mindfulness come panacea di molti mali.
In questo ambito si sono sviluppati protocolli terapeutici ineccepibili (o quasi!), che hanno “tecnicizzato” la pratica meditativa.
Tuttavia, seppur comprendendo il raggiungimento di molti lusinghieri risultati, credo che non si possa “medicalizzare” troppo la meditazione, poiché essa raggiunge i propri esiti più significativi quando si affranca da qualsiasi aspettativa, ossia quando diventa una pratica “senza memoria e desiderio” (W. Bion, 1972) attraverso la quale si impara ad essere testimoni del proprio intimo accadere, dove in esso è possibile intravedere uno spazio più ampio di conoscenze circa se stessi e il mondo.
Se la vita è una costante dialettica tra la realtà e la sua maschera, tra ciò che emerge e ciò che è sotteso, tra la verità e la finzione, esercitare con la meditazione la consapevolezza della presenza, significa uscire dalla reattività del “sonno verticale” per comprendere in questa sorta di iato nuovi significati e visioni.
ELEVARSI: LA VIA ETICA DELLA PRATICA MEDITATIVA
La meditazione è ascesi.
“Il suo obiettivo, scriveva Aivanhov (1976), è la santità e non la consolazione.
Se ci limitiamo al semplice vuoto dello Za-zen, il rischio è quello di attirare ciò che corrisponde allo stato interiore negativo: entità tenebrose e correnti nocive.
Si deve meditare per attirare le cose del cielo (…). Con la meditazione occorre che impariamo a portare il cielo in terra (…) e a fonderci nella bellezza”.
In altri termini ciò che sostiene il grande maestro bulgaro, è che non serve meditare per migrare in un luogo di serenità privo di conflitti, fatiche e tensioni, per staccarsi dal mondo e ritirarsi, ma per ritrovarsi ed elevarsi.
Non serve meditare se tale esperienza non è funzionale ad un percorso di ascesi spirituale senza l’idea di condurre una vita improntata all’onestà e alla verità.
Il meditare se non si associa ad una azione virtuosa di autotrascendimento, può divenire un modo per giustificarsi, come paradossalmente potrebbe essere andare a messa tutte le domeniche, pregare e genuflettersi, ricevere la comunione e fuori dalla chiesa continuare a compiere azioni inique.
Scrive ancora con straordinaria efficacia il numinoso pedagogista bulgaro: “Occorre sempre non perdersi nella pace, perché quando si medita senza una visione si crea uno spazio di sonno ulteriore.
Non serve meditare per distrarsi dalle passioni, lasciando la mente nelle regioni inferiori del piano astrale, serve trovare un ulteriore modo per purificarsi”.
Occorre “bruciare nella vita la pratica meditativa” (F. Nanetti, 2014).
In altri termini non serve “arrabbiarti con qualcuno, per poi come una sorta di bamboccio sederti e cercare la pace”.
Come sostiene ancora Aivanhov: “La decisione di meditare deve accompagnarsi anche ad altre decisioni di vita: l’evoluzione della coscienza, la disciplina, il rispetto degli altri, la moderazione, il contenimento delle emozioni distruttive. Se il tuo scopo è il denaro, il potere, i piaceri, è meglio non praticare la meditazione”.
La meditazione esistenziale è una delle tante vie del dharma, necessaria per mettere ordine in ciò che ci inquieta e ritrovarci nella verità, anche in quei momenti di assoluto caos in cui sembra tutto franare.
A tal proposito scriveva con l’evidenza della metafora, il maestro Aivanhov: “Quando una madre vuole preparare un dolce, se tutti i bambini la chiamano, si aggrappano a lei e le tirano il grembiule, essa non riuscirà a combinare nulla. Per potere essere in pace deve metterli a letto e farli addormentare. La stessa cosa vale anche per noi. Se dentro di noi abbiamo una marmaglia scatenata di pensieri occorre prima mettere ordine. Prima bisogna fare addormentare i bambini esuberanti per potere poi lavorare, e a lavoro ultimato, tornare da loro e distribuire la torta!”
La meditazione è un modo per uscire dalla frenesia e dal tumulto, per fare ordine dentro se stessi, e ritrovare quei pensieri che orientano le nostre azioni al bene.
Meditare è iniziare il compimento di un’altra vita … nella “luce”.
Si medita sempre, ventiquattr'ore su ventiquattro. Nel prossimo articolo tratteremo le modalità di meditazione e dell'importanza di "fermarsi per ritrovarsi".