Uno dei fattori più potenti nel determinare la futura salute del bambino
Il legame fra madre e figlio inizia subito. E a seconda di come questo legame evolverà durante la gravidanza, prenderà forma la personalità del bambino dopo la nascita. I mesi di gestazione sono una amalgama di sensazioni, suoni familiari ed emozioni. Ciò che più di tutto condiziona lo sviluppo psicofisico del bimbo è qualcosa di molto difficile da spiegare, perché ha a che fare con l’atteggiamento della madre: tutta una serie di elementi che comunicano affetto e cura nei confronti del nascituro. La cosa peggiore che il bimbo intrauterino possa sperimentare è il sentirsi “abbandonato” nel grembo materno. Parliamo di un fenomeno molto particolare, perché il feto non potrebbe essere in maggior contatto fisico con la madre. E’ al suo interno. Per mesi i due sono inseparabili. Eppure se non c’è un legame “mentale”, una simbiosi amorevole fra madre e figlio, il bimbo si sente ignorato, con conseguenze che si protrarranno oltre la nascita, fino all’età adulta.
Dalle prime settimane di gravidanza fra madre e figlio c’è uno scambio ormonale, una relazione emozionale che passa anche attraverso il battito cardiaco. Se il battito della mamma accelera, quello del figlio segue. E col tempo, ogni cosa che la madre vive ha una ripercussione sulle reazioni del bimbo. La donna che attraversa situazioni di stress produce adrenalina e catecolamine che agitano il feto. I momenti di gioia generano invece endorfine, con effetto benefico. Lo stress acuto, anche prolungato, non ha grandi conseguenze per il bambino intrauterino, a patto che la madre non interrompa il contatto affettivo e rassicurante che è alla base del legame. Questo è l’elemento chiave: la salute fisica e psicologica del futuro neonato dipende in ampia parte da una predisposizione, anche mentale, nell’accudire il bimbo che si trova ancora nel grembo materno.
«Il rischio di abbandonare affettivamente il bambino -dice la dottoressa Gabriella A. Ferrari, fra le grandi animatrici dell’Associazione “9mesi ed oltre”, nata a Parma nel 2010 con lo scopo di fare educazione prenatale nelle scuole e ai futuri genitori- sembrerebbe essere più forte nel caso di un grave lutto nel corso della gestazione, come ad esempio la morte del compagno. Alcuni studi compiuti in Finlandia da Huttunem e Nykannen (1978), citati dal dottor Jeno Raffai, psicologo prenatale specializzato nell’analisi del bonding, ovvero del legame fra madre figlio, riferiscono che su due gruppi di bambini, di cui gli appartenenti al primo avevano perso il padre durante la gestazione, mentre quelli del secondo soltanto dopo la nascita, a distanza di tempo i bambini del primo gruppo hanno mostrato problemi psicotici in percentuale molto più alta rispetto agli altri».
«Un’elevata qualità della relazione prenatale tra madre e figlio, preesistente a un tragico evento -aggiunge la dottoressa- svolge un ruolo di primaria importanza ai fini di fronteggiare una tragedia e mantenere un buon legame madre-figlio. Una madre che abbia desiderato il suo bambino, riesce più facilmente a far fronte a un forte evento traumatico e a mantenere con il bimbo intrauterino un contatto affettivo sufficientemente buono. Vari studi scientifici evidenziano che fra le donne in stato di stress acuto durante la gestazione, quelle che avevano già creato un buon attaccamento al bambino hanno addirittura tratto conforto, forza, dalla gravidanza in corso, e i figli non hanno manifestato problemi durante quello che il ginecologo francese Michel Odent definisce “il periodo primale”, cioè quello che includendo la vita fetale e la nascita, comprende tutto il primo anno di vita del bambino».